S'intrecciano le vicende di tre persone: un borghese (Roger Pierre), una proletaria (Nicole Garcia) e un contadino (Gérard Depardieu). I tre sono cavie di un esperimento teso ad analizzare il comportamento umano.

L'idea per Mon oncle d'Amérique nasce dall'incontro tra Alain Resnais e lo scienziato Henri Laborit, che appare nel film nei panni di se stesso. Quest'ultimo, grande studioso del cervello umano e delle similitudini con quello degli animali, aveva proposto al regista francese di fare un documentario sulle sue ricerche, ma Resnais ha optato per un lungometraggio di finzione, scritto da Jean Gruault. L'approfondimento sui tre personaggi-cavie, sui loro ricordi e sugli incroci delle loro esistenze, è straordinario: Resnais muove i fili alla perfezione, ponendosi nella stessa posizione del demiurgico Laborit, la cui voce narrante interviene costantemente nel corso della narrazione. C'è spazio anche per un registro vicino alla commedia in un film dal forte spessore filosofico, che riesce però a non risultare mai pedante o eccessivamente intellettualoide. Il regista (e così lo scienziato) porta avanti delle tesi sul comportamento umano, senza “obbligare” lo spettatore a seguirle, ma guidandolo unicamente in una riflessione che potrebbe aprire sbocchi diversi. Profondo e anche divertente. Meritatamente vincitore del Premio speciale della giuria al Festival di Cannes.
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