Tetsuo: The Bullet Man
Tetsuo: The Bullet Man
Durata
71
Formato
Regista
Figlio di scienziati, Anthony (Eric Bossik) vive e lavora in Giappone con la moglie Yuriko (Akiko MonÅ) e con il figlio. Quando il bambino viene brutalmente assassinato da un automobilista, per Anthony comincia un incubo che lo porterà a trasformarsi, fisicamente, in un'arma vivente.
Dopo i due Nightmare Detective (il primo del 2006, il secondo del 2008), Tsukamoto sorprende tutti effettuando una repentina inversione che riporta il suo cinema verso i territori più sperimentali degli esordi. A diciassette anni di distanza dal precedente Testuo II: Body Hammer (1992) e a venti dal suo esordio Tetsuo (1989), Tsukamoto realizza il terzo capitolo di un'ipotetica trilogia, ritagliandosi come nei precedenti il ruolo chiave di “X”: la causa scatenante della trasformazione del protagonista. Regia e montaggio frenetico e una fotografia plumbea che restituisce una Tokyo quasi glaciale, non bastano però a risvegliare le sensazioni che ancora oggi si provano immergendosi nella visione della sua opera prima, né ad aggiungere qualcosa di nuovo alle tematiche e riflessioni che già avevano perso forza nel secondo episodio del trittico. Non aiuta neanche il fatto che il film sia recitato per il 90% in lingua inglese, particolare che in alcune pellicole nipponiche coeve, come Sukiyaki Western Django di Takashi Miike (2007), costituisce una nota di colore ma che, in questo caso, sembra più che altro una stonatura.
Dopo i due Nightmare Detective (il primo del 2006, il secondo del 2008), Tsukamoto sorprende tutti effettuando una repentina inversione che riporta il suo cinema verso i territori più sperimentali degli esordi. A diciassette anni di distanza dal precedente Testuo II: Body Hammer (1992) e a venti dal suo esordio Tetsuo (1989), Tsukamoto realizza il terzo capitolo di un'ipotetica trilogia, ritagliandosi come nei precedenti il ruolo chiave di “X”: la causa scatenante della trasformazione del protagonista. Regia e montaggio frenetico e una fotografia plumbea che restituisce una Tokyo quasi glaciale, non bastano però a risvegliare le sensazioni che ancora oggi si provano immergendosi nella visione della sua opera prima, né ad aggiungere qualcosa di nuovo alle tematiche e riflessioni che già avevano perso forza nel secondo episodio del trittico. Non aiuta neanche il fatto che il film sia recitato per il 90% in lingua inglese, particolare che in alcune pellicole nipponiche coeve, come Sukiyaki Western Django di Takashi Miike (2007), costituisce una nota di colore ma che, in questo caso, sembra più che altro una stonatura.