Ferito e privo della memoria, un uomo (Shin'ya Tsukamoto) si risveglia in una sorta di cunicolo stretto e buio. Nel tentativo di farsi strada verso un' uscita che sembra non esistere incontra una donna con la quale condivide lo stesso destino.

Dopo il bellissimo e fondamentale Vital (2004), Tsukamoto fa un "passo indietro" e con questo mediometraggio ci fa precipitare in una situazione da incubo, claustrofobica e inquietante. Una metafora dell'incapacità del protagonista di accettare la realtà, un totale rifiuto che si cristallizza nell'autoimporsi una prigionia in un non-luogo degno di un girone infernale. Fondandosi molto sulla struttura narrativa, che si abbandona a un finale fin troppo rivelatorio, Haze non può certo essere considerato tra i migliori lavori di Tsukamoto considerato che sfiora alcuni elementi chiave del suo cinema senza mai affondare in maniera significativa in qualsivoglia approfondimento. Il film fa parte del "Jeonju Digital Project", una sezione del festival coreano di Jeonju dove ogni anno vengono presentati tre mediometraggi girati in digitale da tre registi diversi: nel 2005, accanto a Haze, c'erano Magician(s) di Song Il-gon e Wordly Desires di Apichatpong Werasethak.
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