
La traviata
Durata
109
Formato
Regista
La cortigiana Violetta Valery (Teresa Stratas), pallida e morente, ripensa all'antico amore che la legava ad Alfredo Germont (Plácido Domingo), sullo sfondo di una Parigi colorata e altresì funesta per il destino della donna.
Zeffirelli tenta di riformulare un nuovo concetto di opera-filmata: la sua Traviata, dal capolavoro di Giuseppe Verdi rappresentato per la prima volta nel 1853, è indicativa di come il regista fiorentino – non senza coraggio – abbia coniugato la propria visione (dirompente, moderna e non convenzionale) del libretto di Francesco Maria Piave e del personaggio di Violetta a un tradizionalismo che non si è sentito di abbandonare del tutto. Paradossalmente, si tratta del film meno accademico, meno laccato e meno “zeffirelliano” in assoluto; il regista stravolge la storia della cortigiana e la piega alla visione di cui sopra, macellando arie importanti e inserendo flashback rivelatori e inaspettati. Quello che non convince, tuttavia, è l'equilibrio della ricerca dell'autore, che genera linguaggi e filosofie goffe, incapaci di stimolare e offrire spunti d'interesse accattivanti. Lo stesso linguaggio, applicato all'opera in teatro, si colora di ricettività diverse e propositive ed è per questo che la carriera di Zeffirelli nell'opera è longeva e memorabile. Al cinema, però, l'effetto è diverso, straniante, più di ogni altra cosa. Pulsanti e intense, va detto, le prove di T. Stratas e di P. Domingo. Partitura musicale composta dall'orchestra del MET (Metropolitan Opera) di New York City, e candidature all'Oscar per le scene di Quaranta e Zeffirelli e i costumi di Piero Tosi (che vinsero il Bafta e il Nastro d'Argento, assegnato anche alla bella fotografia di Ennio Guarnieri).
Zeffirelli tenta di riformulare un nuovo concetto di opera-filmata: la sua Traviata, dal capolavoro di Giuseppe Verdi rappresentato per la prima volta nel 1853, è indicativa di come il regista fiorentino – non senza coraggio – abbia coniugato la propria visione (dirompente, moderna e non convenzionale) del libretto di Francesco Maria Piave e del personaggio di Violetta a un tradizionalismo che non si è sentito di abbandonare del tutto. Paradossalmente, si tratta del film meno accademico, meno laccato e meno “zeffirelliano” in assoluto; il regista stravolge la storia della cortigiana e la piega alla visione di cui sopra, macellando arie importanti e inserendo flashback rivelatori e inaspettati. Quello che non convince, tuttavia, è l'equilibrio della ricerca dell'autore, che genera linguaggi e filosofie goffe, incapaci di stimolare e offrire spunti d'interesse accattivanti. Lo stesso linguaggio, applicato all'opera in teatro, si colora di ricettività diverse e propositive ed è per questo che la carriera di Zeffirelli nell'opera è longeva e memorabile. Al cinema, però, l'effetto è diverso, straniante, più di ogni altra cosa. Pulsanti e intense, va detto, le prove di T. Stratas e di P. Domingo. Partitura musicale composta dall'orchestra del MET (Metropolitan Opera) di New York City, e candidature all'Oscar per le scene di Quaranta e Zeffirelli e i costumi di Piero Tosi (che vinsero il Bafta e il Nastro d'Argento, assegnato anche alla bella fotografia di Ennio Guarnieri).