La moglie (Rossana Podestà) del padrone (Georges Rivière) di un castello tedesco sente degli strani lamenti provenire dai suoi meandri: scoprirà che un misterioso maniaco ha rispolverato l'arsenale di tortura del maniero.

Onesto gotico all'italiana, La vergine di Norimberga non ha paura di premere l'acceleratore sul pedale del gore, optando anche per alternare il colore a un sobrio bianco e nero nei frangenti più sanguinosi: non mancano volti divorati da ratti e cornee perforate dagli aculei dello strumento di tortura che dà il titolo al film. Dietro all'apparenza molto attenta a rispettare i dettami estetici del genere (tuoni e lampi, passi attutiti e minacciosi nei corridoi, ambientazione in un edificio di medievale cupezza), si nasconde in realtà una critica neanche troppo velata alla Germania da poco uscita dal nazismo e alla sua incapacità di affrontare il senso di colpa, preferendo negarlo e fare finta che il Male non sia mai accaduto, come suggerisce il marito alla spaventata consorte. Il finale simbolico si riferisce proprio alla fine che aspetta una realtà costruita sull'omertà, il negazionismo e la sofferenza dei popoli. Interessante, nonostante gli evidenti limiti dettati dal budget e alcuni passaggi narrativi a dir poco grossolani. Christopher Lee compare nella parte del servitore sfregiato.
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