Uno spaccato sulle contestazioni studentesche in Giappone nell'anno cruciale rappresentato dal 1960: un matrimonio tra due giovani non più ancorati alle stesse posizioni politiche si fa sintomo di tensioni di fondo tutt'altro che risolte, che riemergono prepotentemente, a simboleggiare un'intera generazione. Un Ōshima militante d'inizio carriera, che riflette manieristicamente sul Giappone successivo alla Seconda guerra mondiale, sui sentimenti della gioventù nipponica, sulle lotte studentesche e i suoi orizzonti tormentati e contradditori. Il documento storico in sé e per sé non è certo di valore trascurabile ma la messa in scena del regista nipponico è insolitamente schematica e zavorrata, anche per la prevedibile sensazione d'impenetrabilità che può percepire uno spettatore contemporaneo e non giapponese rispetto al contesto di allora, riportato con pedante e prolissa puntigliosità. Quarantacinque piani-sequenza fumosi anche se estremamente dettagliati (o forse proprio per questo), con in più una frastagliata onnipresenza del flashback a intrecciare a profusione passato e presente. Film maledetto, ritenuto scomodo dal governo giapponese che di fatto lo osteggiò in tutti i modi possibili fino a massacrarlo. Recuperato in Italia grazie al Festival di Pesaro nel 1972.