Il gangster Ulysses Pick (Jason Patric) torna a casa dopo una lunga assenza, trascinando con sé il corpo di una ragazza adolescente e un uomo legato e imbavagliato. La sua banda lo aspetta all'interno dell'abitazione ma, nonostante gli attriti sempre più evidenti tra i vari membri del gruppo, Ulysess ha in mente soltanto una cosa: raggiungere sua moglie (Isabella Rossellini), chiusa nella sua camera da letto al piano superiore.

Un'occasione in larga parte sprecata. È questa la sensazione di fronte a Keyhole, film che poteva rappresentare uno dei principali tasselli del potente mosaico cinematografico firmato Guy Maddin. Il regista canadese opta per una struttura narrativa fortemente psicanalitica, in cui il protagonista è chiamato a compiere un complesso viaggio (mentale?) per raggiungere la stanza della propria amata, ma ogni angolo della casa nasconde un nuovo imprevisto. Espliciti i riferimenti all'Ulysess di James Joyce, il cui flusso di coscienza è, probabilmente, sempre stato un ispirazione del cinema del regista canadese. In questo caso, però, la sceneggiatura si fa eccessivamente ambigua e macchinosa: il coinvolgimento iniziale è alto ma, col passare dei minuti, il respiro inizia a cessare e si finisce col fiato corto. Le forti suggestioni visive di stampo vintage, in questo caso non bastano a nascondere i limiti di un copione irrisolto e incapace di mantenersi coerente fino in fondo. Peccato.
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