Due poveracci (Totò, Enzo Turco), con rispettive famiglie, vengono assunti da un marchesino (Franco Pastorino) deciso a sposare una ballerina di teatro (Sophia Loren), figlia di un cuoco arricchito (Gianni Cavalieri). Dovranno fingere di essere i suoi parenti nobili, così da far bella figura con il (possibile) futuro suocero.

Dalla commedia di Edoardo Scarpetta, una sinfonia di risate orchestrate da un cast in stato di grazia, capitanato dal miglior capocomico sulla piazza. Totò appare inarrestabile, una fucina di lazzi, invenzioni e battute di tale livello da trasformare ogni scena in una lezione di spettacolo. Turco è una spalla rispettosa, che sta un passo indietro al mostro sacro ma gli serve i ganci e propone battute con una tempistica impeccabile. Il gioco di rifrazioni conferisce alla materia comica una potenza esponenziale e pur giocando con elementi classici del teatro (scambi di persona, giochi degli equivoci), risulta in continuo fermento, proprio esibendo apertamente la sua finzione. È la terza trasposizione della pièce, dopo quella muta (purtroppo perduta) diretta da Enrico Guazzoni (1914) con Scarpetta nel ruolo principale e un'altra diretta da Corrado D'Errico (1940).
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