Una prostituta (Silvana Pampanini) e una bambina (Maria Grazia Monaci) si salvano da un grave incidente ferroviario. Tra le due nasce un'intesa e la prima vorrebbe adottare la seconda ma per farlo, deve abbandonare il suo mestiere.

Dopo essersi affermato come il miglior talento nostrano nel filone melodrammatico (suoi i bellissimi I figli di nessuno, 1951, e La nave delle donne maledette, 1953), Raffaello Matarazzo prova ora a svincolarsi lievemente dal genere di riferimento provando a reinventarlo (e a reinventarsi) condendo i suoi lavori con tematiche più sottili e spinose. La schiava del peccato ne è un esempio calzante, un progetto che non si limita a raccontare il dolore e la passione della vicenda narrata, ma che prova a riflettere sulla figura femminile negli anni Cinquanta e sul senso di colpa lecito o meno provato dalla protagonista. Ciò che però sembra funzionare meno che altrove, è proprio lo sguardo poco approfondito sulle questioni morali più importanti e umane: risentendo anche di una struttura un po' troppo pedante e verbosa, il film arranca lungo tutti i suoi minuti non riuscendo mai a emozionare fino in fondo. Il cast, di primo ordine, non basta a salvare (del tutto) un lavoro che procede sempre con il freno a mano tirato e stenta a decollare come dovrebbe.
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