Nel 1931, il sicario Angelo “Snaps” Provolone (Sylvester Stallone) promette al padre morente (Kirk Douglas) di cambiare vita: niente più contrabbando di alcol e omicidi ma una “onesta” vita da banchiere. L'impresa sarà più ardua del previsto, tra un contabile truffatore (Vincent Spano) che gli comunica di voler sposare sua figlia Theresa (Elizabeth Barondes), una secondogenita (Marisa Tomei) che, non tollerando più la vita da reclusa in casa, medita la fuga con il timido e maturo professor Poole (Tim Curry) e una valigia piena di diamanti che Provolone non riesce proprio a mettere al sicuro.

Girato con garbo e cura dei particolari, Oscar è quasi un film su commissione per Landis. L'obiettivo è il rilancio della carriera di Stallone, lontano dai ruoli muscolari dei vari Rocky Balboa, John Rambo e Cobra (1986). Impresa molto poco riuscita, a giudicare dallo scarso successo della pellicola in sala e dall'evanescenza di una vicenda esilissima fondata unicamente sugli equivoci e sui facili stereotipi da barzelletta. A Sly andrà meglio col successivo Fermati, o mamma spara (1992), mentre per il talento appannato di John Landis – terminati i fasti del parodico e del demenziale che lo avevano reso famoso – inizia il periodo più duro della propria carriera, che lo porterà alle secche di Beverly Hills Cop III – Un piedipiatti a Beverly Hills III (1994) e di Blues Brothers – Il mito continua (1998). Remake di Io, due figlie, tre valigie (1967) di Edouard Molinaro, con Louis de Funès.
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