The Blues Brothers
The Blues Brothers
Durata
133
Formato
Regista
I due fratelli Elwood (Dan Aykroyd) e Jake “Joliet” (John Belushi) Blues, dopo l'uscita dal carcere di quest'ultimo per rapina, tentano di rimettere insieme la vecchia band con lo scopo di raccogliere fondi per salvare dalla chiusura l'orfanotrofio in cui sono cresciuti, a Chicago. Le conseguenze saranno disastrose.
Più che un film, uno show: nati in seno al programma televisivo Saturday Night Live, i protagonisti di The Blues Brothers sono i classici “perdenti che salveranno il mondo”, emarginati rigettati dalla società che non hanno (mai avuto) niente da perdere. Un tema caro al regista John Landis, come dimostra il precedente Animal House (1978). Landis qui ritrova Belushi e lo lancia sulle scalcinate strade di un crash movie alimentato da miracolose performance musicali e da sketch da antologia del cinema demenziale (la cena al ristorante elegante, l'esibizione nel bar country, le botte del “Pinguino”). “In missione per conto di Dio” Jake ed Elwood ci vanno in giacca e cravatta, muniti di Ray-Ban Wayfarer neri (Belushi se li leva in una sola occasione, e puntualmente fa capitolare la fidanzata inferocita Carrie Fisher) e cappello nero perennemente calcato sulla fronte. E diventano immediatamente idoli del pubblico giovanile e modelli di stile e di vita. Tutto contribuisce alla perfetta quadratura del cerchio di un'esperienza visiva e sensoriale irripetibile: impossibile replicare The Blues Brothers, e difatti quando Landis ci riproverà nel 1998 (con il sequel/remake Blues Brothers – Il mito continua) andrà incontro a uno scontato ed evitabilissimo fallimento. Colonna sonora da urlo (la più bella della storia del cinema, secondo un sondaggio BBC del 2004), comprendente fra gli altri James Brown (The Old Landmark), Aretha Franklin (Think), Ray Charles (Shake a Tail Feather) e Cab Calloway (Minnie the Moocher). Svariati camei: da Steven Spielberg alla modella Twiggy, dal regista Frank Oz (La piccola bottega degli orrori, In & Out, Bowfinger) allo stesso John Landis.
Più che un film, uno show: nati in seno al programma televisivo Saturday Night Live, i protagonisti di The Blues Brothers sono i classici “perdenti che salveranno il mondo”, emarginati rigettati dalla società che non hanno (mai avuto) niente da perdere. Un tema caro al regista John Landis, come dimostra il precedente Animal House (1978). Landis qui ritrova Belushi e lo lancia sulle scalcinate strade di un crash movie alimentato da miracolose performance musicali e da sketch da antologia del cinema demenziale (la cena al ristorante elegante, l'esibizione nel bar country, le botte del “Pinguino”). “In missione per conto di Dio” Jake ed Elwood ci vanno in giacca e cravatta, muniti di Ray-Ban Wayfarer neri (Belushi se li leva in una sola occasione, e puntualmente fa capitolare la fidanzata inferocita Carrie Fisher) e cappello nero perennemente calcato sulla fronte. E diventano immediatamente idoli del pubblico giovanile e modelli di stile e di vita. Tutto contribuisce alla perfetta quadratura del cerchio di un'esperienza visiva e sensoriale irripetibile: impossibile replicare The Blues Brothers, e difatti quando Landis ci riproverà nel 1998 (con il sequel/remake Blues Brothers – Il mito continua) andrà incontro a uno scontato ed evitabilissimo fallimento. Colonna sonora da urlo (la più bella della storia del cinema, secondo un sondaggio BBC del 2004), comprendente fra gli altri James Brown (The Old Landmark), Aretha Franklin (Think), Ray Charles (Shake a Tail Feather) e Cab Calloway (Minnie the Moocher). Svariati camei: da Steven Spielberg alla modella Twiggy, dal regista Frank Oz (La piccola bottega degli orrori, In & Out, Bowfinger) allo stesso John Landis.