Parigi, 1906. Un anziano regista cinematografico (Maurice Chevalier) fa da pigmalione sentimentale al suo inesperto assistente (François Périer). I due, però, finiscono per innamorarsi della stessa ragazza (Marcelle Derrien).

Dopo aver lavorato a Hollywood per alcuni anni, René Clair torna in Francia e firma una delle pellicole più sentite e personali della sua carriera. La trama è un semplice pretesto per dare vita a un notevolissimo omaggio, che opera su due piani distinti: da un lato è una celebrazione della città di Parigi, che Clair ha spesso reso protagonista dei suoi lavori, dall'altro un ricordo nostalgico dei primi anni della settima arte e di quel periodo del muto in cui Clair (Entr'acte del 1925) aveva incominciato a lavorare. Ed è proprio al cinema muto che fa riferimento lo splendido titolo dato a questa pellicola. Scritto dallo stesso Clair, Il silenzio è d'oro ha inoltre dialoghi brillanti e vive di un ritmo dal battito incessante. È una commedia, ma venata di una malinconia che è difficile scrollarsi di dosso al termine della visione. Vincitore del Pardo d'oro alla seconda edizione del Festival di Locarno: la kermesse svizzera aveva attribuito a Clair il premio più importante anche l'anno precedente per Dieci piccoli indiani (1945).
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