Viaggio a Tokyo
Tōkyō monogatari
1953
Mubi
Paese
Giappone
Genere
Drammatico
Durata
136 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Yasujirō Ozu
Attori
Chishū Ryū
Chieko Higashiyama
Sō Yamamura
Haruko Sugimura


Shukichi (Chishū Ryū) e Tomi Hirayama (Chieko Higashiyama), ormai settantenni, decidono di spostarsi dalla loro città, Onomichi, nei pressi di Hiroshima, per andare a Tokyo a trovare i loro figli, che ormai risiedono lì e che gli anziani genitori non vedono da un po'. L'accoglienza che essi riserveranno loro sarà, però, tutt'altro che premurosa e partecipe.

Considerato uno dei massimi capolavori della storia del cinema mondiale, Viaggio a Tokyo è una pietra miliare assoluta e senza tempo, alle cui origini vi sono le ferite del Giappone post-bellico: che i due anziani coniugi protagonisti siano originari proprio dei dintorni di Hiroshima non è infatti un caso, analogamente alla dialettica, altrettanto voluta e cercata, tra vecchio e nuovo, tra passato e presente. Un elemento sottolineato in più occasioni, sia per quel che riguarda la mutazione dei costumi, sempre più distanti dalla compostezza della tradizione giapponese e sempre più prossimi a una colonizzazione invasiva da parte di modelli esteri (quanto sono disinvolti, i nipoti dei protagonisti, quando non sfacciati e maleducati), sia per quel riguarda lo studio del paesaggio, poetico e modernissimo. La visita guidata ai monumenti tipici della Tokyo che fu (una delle prime attività compiute da Shukichi e Tomi nella capitale, alla quale la propria prole li indirizza per tenerli impegnati ed evitare che disturbino), si accosta infatti, per contrasto, alla nuova urbanistica della città, nella quale le dimensioni spropositate costringono a guardare verso l'orizzonte sempre e comunque a perdita d'occhio, smarrendo la dimensione antropocentrica della realtà per abbandonarsi a una più inquietante concezione metropolitana dello spazio, del tempo e della vita: un modo di vedere le cose e di viverle più selvaggio, prevaricatorio e impuro di quanto non sia mai stato in passato, soprattutto nel Sol Levante. Un'opera che parla dello smarrimento della purezza originaria, del passaggio di testimone da una generazione integra e di sani principi a un'altra con molte meno certezze e molti più grattacapi, alle prese con una concorrenza spietata e un universo morale non più incantato, nel quale perfino il dolore per i lutti appare meccanico, artefatto e costruito. Il punto di vista del regista ad "altezza tatami", una prospettiva che gli spettatori di tutto il mondo hanno imparato ad associare indissolubilmente all'arte di Ozu, in questo caso è più necessario e decisivo che mai: siamo di fronte a una delle elegie per il buon tempo andato meno retoriche e più oneste mai intonate, una delle odi alla semplicità del quotidiano più ellittiche e struggenti di tutti i tempi, sul grande schermo e non solo.


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