In un'elegante clinica psichiatrica, i pazienti sono convinti di essere personaggi storici, biblici o letterari e passano il loro tempo a rimettere in scena gli episodi, i drammi e i dilemmi di cui sono stati protagonisti.

Da Adamo (Carlos Gomes) ed Eva (Leonor Silveira), Gesù Cristo (Paulo Matos) e Lazzaro; dai fratelli Karamazov (Diogo Dória e José Wallenstein) a Sonia e Raskolnikov (Maria de Medeiros e Miguel Guilherme) di Delitto e castigo fino al Profeta (Luís Miguel Cintra) ispirato da La salvezza del mondo di José Régio, e Nietzsche (Mário Viegas). Il carnevale intellettuale di de Oliveira non ha nulla a che fare con il poema dantesco: disserta semplicemente sul tentativo umano di sfiorare il divino, attraverso l'arte (la scena stessa, la letteratura o la musica del pianoforte di Maria João Pires) o la negazione di esso (riconoscere che Dio è morto divenendo Superuomo). Ed è solo nella follia che l'uomo può allontanarsi dalla storica e terrena erranza tra il bene e il male e comprenderne finalmente il nonsenso (per questo forse Ivan Karamazov chiede se c'è un posto libero in clinica, per riposarsi dal “lavoro intellettuale”). La simmetria formale è appezzabile, ma l'ostinazione verso una narrazione ostica e, per certi versi, inaccessibile lascia spesso il tempo che trova. Forse non c'è nulla da capire e bisogna solo abbandonarsi alle immagini. Leone d'argento alla 48ª Mostra del Cinema di Venezia.
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