Francisca
Francisca
Durata
166
Formato
Regista
Portogallo, metà dell'Ottocento. L'altezzoso aristocratico José Augusto (Diogo Dória) si invaghisce di Francisca “Fanny” Owen (Teresa Menezes), giovane avvenente e di classe. La rivalità con l'amico Camilo (Mário Barroso) lo spinge alla decisione di rapire la ragazza per sposarla di nascosto, ma il sentimento tra i due degenererà fino a sfociare in tragedia.
Manoel de Oliveira adatta il romanzo di Agustina Bessa-Luís Fanny Owen (a sua volta ispirato a una vicenda realmente accaduta) e chiude la propria tetralogia (inaugurata con Il passato e il presente del 1972 e proseguita con Benilde o la vergine madre, 1975, e Amore di perdizione, 1979) dedicata all'amore frustrato. Sullo sfondo di un Paese dilaniato da stravolgimenti politici e conflitti intestini, si consuma un amore ferino e disperato, candido e oltraggioso, viscerale e crudele, la cui anima contraddittoria è incarnata dall'ambiguo José Augusto, vero motore della vicenda; ma la tematica di base, decisamente incandescente, è calibrata da uno stile asettico, il cui impianto prettamente teatrale e letterario è veicolato da quadri fissi e immagini composte di stampo quasi pittorico, con i personaggi disposti a riempire in maniera armonica gli spazi. Una poetica autoriale personalissima, antica e moderna al tempo, in bilico tra passato (le didascalie, omaggio evidente all'epoca del muto) e innovazione (le sorprendenti infrazioni al codice cinematografico, con i protagonisti che si rivolgono direttamente alla macchina da presa, e quindi allo spettatore, sfondando idealmente la cosiddetta “quarta parete”): lo stile di de Oliveira non contempla vie di mezzo e può risultare magnetico o manierista, a seconda dell'indole spettatoriale, ma la maestria registica è innegabile e le immagini, fortemente evocative, affascinano al punto da apparire quasi ipnotiche. Presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes.
Manoel de Oliveira adatta il romanzo di Agustina Bessa-Luís Fanny Owen (a sua volta ispirato a una vicenda realmente accaduta) e chiude la propria tetralogia (inaugurata con Il passato e il presente del 1972 e proseguita con Benilde o la vergine madre, 1975, e Amore di perdizione, 1979) dedicata all'amore frustrato. Sullo sfondo di un Paese dilaniato da stravolgimenti politici e conflitti intestini, si consuma un amore ferino e disperato, candido e oltraggioso, viscerale e crudele, la cui anima contraddittoria è incarnata dall'ambiguo José Augusto, vero motore della vicenda; ma la tematica di base, decisamente incandescente, è calibrata da uno stile asettico, il cui impianto prettamente teatrale e letterario è veicolato da quadri fissi e immagini composte di stampo quasi pittorico, con i personaggi disposti a riempire in maniera armonica gli spazi. Una poetica autoriale personalissima, antica e moderna al tempo, in bilico tra passato (le didascalie, omaggio evidente all'epoca del muto) e innovazione (le sorprendenti infrazioni al codice cinematografico, con i protagonisti che si rivolgono direttamente alla macchina da presa, e quindi allo spettatore, sfondando idealmente la cosiddetta “quarta parete”): lo stile di de Oliveira non contempla vie di mezzo e può risultare magnetico o manierista, a seconda dell'indole spettatoriale, ma la maestria registica è innegabile e le immagini, fortemente evocative, affascinano al punto da apparire quasi ipnotiche. Presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes.