Il giovane Alvise (Lou Castel), rampollo di una famiglia di industriali e paralizzato a causa di un disagio psicosomatico, è affidato alle cure della zia Lea (Lisa Gastoni). Il rapporto tra i due cresce all'insegna della morbosità e dell'erotismo, fino alla pretesa finale del ragazzo: farsi uccidere.

Nel 1968, anno per eccellenza delle contestazioni, l'esordiente Salvatore Samperi (anche sceneggiatore con Sergio Bazzini e Pier Luigi Murgia) dirige una pellicola a suo modo cupa e rigorosa, una variabile erotica – ma mai licenziosa – che fa i conti con i debiti di un film emblematico come I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio, e con una progressiva scomposizione degli ideali moralmente borghesi intarsiati nella realtà quotidiana. Lisa Gastoni non è solo un sogno erotico di celluloide: il suo ruolo è consapevolezza e accompagnamento alla morte, dispositivo funereo di letalità. E Lou Castel, con amarezza compulsiva, è uno specchio atroce e impeccabile di quella strana, incompresa, insofferente contemporaneità. Indissolubilmente legato al periodo di realizzazione, e quindi inevitabilmente datato, ma, nonostante alcuni schematismi di troppo, resta in ogni caso un'opera coraggiosa e incisiva nella sua ambiguità. Musiche di Ennio Morricone, fotografia di Aldo Scavarda.
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