Trieste, 1911. Il sedicenne ebreo Ernesto (Martin Halm), cresciuto dalla madre (Virna Lisi) e tirocinante presso un commerciante di farina (Turi Ferro), sperimenta prima i piaceri di un amore omosessuale con un facchino più grande (Michele Placido), poi sposa una ricca ragazza d'origini ebraiche (Lara Wendel).

La forte pulsione erotica (omo ed eterosessuale) che dilania il piglio garbato di uno dei film meno ricordati di Salvatore Samperi, ispirato al romanzo postumo (pubblicato nel 1975) di Umberto Saba, sguazza senza pudore nel formalismo adottato dal regista nella sua opera di dolcificato sapore mitteleuropeo. Poco importa se il romanzo avrebbe meritato un trattamento migliore, o un velo di malizia in meno: il regista non rinuncia a collocare un personaggio maschile al centro delle sue opere, e a torturarlo di piaceri e scoperte alla luce di un percorso fondamentale – di chiara matrice sessuale – per la sua evoluzione. Il risultato è frammentario e altalenante, ma Samperi sa farsi notare. Così il suo cast: Ferro e Lisi in parte, ma è Placido (Orso d'argento come miglior attore a Berlino) a rubare la scena.
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