Parigi. Il giovane artista Henri Gaudier (Scott Antony) incontra in una biblioteca l'aspirante scrittrice polacca Sophie Brzeska (Dorothy Tutin), che ha il doppio dei suoi anni. I due iniziano un sodalizio artistico articolato in uno strano rapporto platonico, dividendo appartamenti, velleità e indigenza. La Prima guerra mondiale stroncherà precocemente la carriera del giovane.

Ken Russell, specialista nel mettere in scena personalissime versioni di biografie, sceglie la storia, brevissima e sfortunata, del pittore e scultore vorticista Henri Gaudier-Brzeska (della sua compagna prese il cognome, anche se non si sposarono mai). L'attenzione e l'esposizione dei tormenti e delle passioni delle "grandi anime", unita alla visionarietà espressionista della messa in scena, è una cifra ricorrente nel cinema di Russell, che si esplicita in Messia selvaggio in maniera tutto sommato lineare, senza calcare troppo la mano su follia, indigenza e romanticismi bohémien. Tutti elementi comunque presenti in grande quantità nella vicenda, poco nota, di un artista caduto giovanissimo sulle trincee della Grande guerra; e lo stereotipo, anche se controllato, è dietro l'angolo. Tratto dal libro omonimo di H.S. Ede, ispirato in massima parte alla corrispondenza tra Grandier e la Brzeska. Scenografia, come per il precedente I diavoli (1971), del futuro regista di culto Derek Jarman.
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