Una folla enorme circonda la camera ardente di Rodolfo Valentino (Rudolf Nureyev), morto trentenne all'apice della sua carriera di attore. Intorno al feretro, le donne della sua vita ricordano la parabola di una delle prime superstar di Hollywood: gli inizi come ballerino di rivista e gigolo, il trasferimento a Los Angeles e la rapida ascesa a personaggio di culto, sex symbol e catalizzatore di una vera e propria rivoluzione a livello di costume.

Ken Russell limita di molto il suo immaginario esagerato e ultrapop per raccontare la storia di Rodolfo Valentino, accontentandosi della consueta opera di destrutturazione narrativa mediata dalla memoria e di ricostruire i celebri film muti della star originaria di Castellaneta (Taranto). Il film funziona a tratti e restituisce un interessante (anche se parziale) spaccato della vicenda di uno dei miti per eccellenza del cinema muto. Ma la sensazione (acuita dalla scelta di un protagonista come Rudolf Nureyev, enorme leggenda della danza ma certo poco a suo agio di fronte alla macchina da presa) è quella di assistere a un'opera irrisolta, con poco mordente, che finisce per annoiare avendo perso la carica estetica eversiva dell'immaginario autoriale. In ogni caso, abbastanza personale da suscitare interesse. Sceneggiatura del regista e di Mardik Martin, dal libro Valentino, an Intimate Exposé of The Sheik (Brad Steiger e Chaw Mank).
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