2019. Vadim Baranov (Paul Dano), ormai lontano da ogni impegno politico, racconta la propria storia a uno scrittore americano (Jeffrey Wright): dalla sua giovinezza alle prime opportunità offerte dalla Russia post comunista degli anni Novanta, dal teatro d'avanguardia alla stretta collaborazione con "lo zar" Vladimir Putin (Jude Law), tra sangue e false verità. Un'esperienza politica cruciale all'interno di un Paese in profondo cambiamento. 

Autore eclettico e cinefilo, sempre attento all'evoluzione del mezzo cinematografico, Olivier Assayas realizza ancora una volta un progetto di assoluta attualità, che permette di approfondire e affrontare con rinnovata consapevolezza un momento storico sempre più cupo e politicamente ambiguo. Proprio come l'omonimo "caso letterario" di Giuliano da Empoli su cui si basa, il film affronta personaggi reali e fatti di cronaca, descritti però alterandone dei dettagli, in modo da renderli "irriconoscibili": ed è proprio il confine tra verità e menzogna uno degli aspetti teorici cruciali attorno a cui è costruita l'eccezionale sceneggiatura della pellicola, scritta a quattro mani dal regista insieme allo scrittore Emmanuel Carrère (protagonista anche di un azzeccato cameo). «Tutto vero, tutto falso» potremmo dire, in un'opera puntigliosa e dettagliata, incalzante dal primo all'ultimo istante, che indaga la natura malata di un Paese votato al potere e non al denaro, al kitsch e non all'eleganza, all'ostentazione pacchiana e non all'understatement. Dopo il grigiore e l'oppressione sociale del comunismo, l'illusione della libertà viene in pochi anni sbranata dalle fameliche fauci di una brama di controllo sociale di inaudita ferocia, tragicamente covata in seno alle istituzioni. Assayas spinge la narrazione oltre il limite delle convenzioni, orchestrando una complessa materia con un raffinato intellettualismo che sembra ricercare la realtà nella fiction e viceversa, con tanto di fittizie immagini di archivio di alcuni passaggi storici. Da attento osservatore della contemporaneità, il regista e sceneggiatore francese pone esplicitamente l'attenzione su dinamiche scomode (la questione ucraina, in primis) e non rinuncia a interessanti riflessioni sul potere della comunicazione di massa e la distorsione delle notizie in un mondo che stava per diventare iperconnesso. Attraverso il punto di vista del "mago del Cremlino" Baranov, vera mente dietro alle decisioni strategiche più importanti di un ventennio di storia post sovietica, Assayas ci offre il gelido ritratto di Vladimir Putin, splendidamente interpretato da Jude Law, spietato uomo di potere alieno da qualsiasi etichetta strettamente politica. Una scelta coraggiosa che diventa una scommessa cinematografica vinta su tutta la linea. Presentato in concorso alla Mostra di Venezia.

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