La manager Diane (Connie Nielsen) presta servizio presso una multinazionale che vuole far propria la società Tokioanime, a cui si devono dei videogiochi erotici al centro del mercato e della concorrenza. Il ruolo di spia che Diane svolge finirà però col metterla in guai serissimi.

Olivier Assayas cambia rotta abbastanza brutalmente rispetto ai suoi film precedenti, concependo l'azzardo di un lungometraggio che ambisca a essere saggio arzigogolato (e allo stesso tempo seducente) sulla virtualità. La stilizzazione claustrofobica delle immagini produce un senso di malsana prigionia, ma il film si conferma da più lati un pasticcio dalle gambe troppo esili. Un'opera argillosa che frana molto presto sotto i colpi delle sue ambizioni confuse e velleitarie, che prova a nobilitarsi giocando la carte di uno spessore che quasi insegue il "saggistico", ma in realtà è solo grossolano e d'accatto. Assayas in compenso sembra crederci davvero: è millimetrico nella sua lucida follia, gira in formato scope e sta addosso a ogni singola inquadratura come fosse dentro a un costante dettaglio, col sottofondo dei Sonic Youth a intervenire puntuale. Vorrebbe essere un'opera sull'indistinzione caotica del mondo virtuale ma finisce per assumere gli stessi difetti di ciò che vorrebbe denunciare: il risultato è un controproducente effetto joystick in virtù del quale sembra di stare dentro un videogame fuori misura. In Concorso al Festival di Cannes del 2002.
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