La vendetta di Frankenstein
The Revenge of Frankenstein
Durata
89
Formato
Regista
Sfuggito alla condanna a morte grazie all'aiuto di alcuni suoi seguaci, Victor Frankenstein (Peter Cushing) si costruisce una nuova identità come dottor Stein ma di lì a poco ricomincia con i suoi morbosi esperimenti.
Seguito di La maschera di Frankenstein (1957) che vede al lavoro Terence Fisher con lo stesso sceneggiatore e il medesimo protagonista, La maschera di Frankenstein sembra quasi scritto in continuità con il capitolo precedente. Portando avanti la propria convinzione filosofica, Fisher e Cushing danno vita a un secondo ritratto dello scienziato pazzo ugualmente disturbante e incisivo, anzi, se possibile, ancor più inquietante proprio perché incallito nelle proprie ossessioni nonostante le sue terrificanti esperienze. Se la creatura non ha più le fattezze emaciate di Christopher Lee (qui è interpretato da Michael Gwynn) guadagna però una consapevolezza mutuata dal romanzo (dove il mostro si esprime in modo forbito) e rappresenta, con la propria irruzione in società, un'anarchica e brutale critica all'ipocrisia piccolo-borghese che dà priorità alle apparenze. L'aspetto crudo e puramente violento, tuttavia, non viene meno, con il mostro sospettato addirittura di cannibalismo: qualche incongruenza nella logica dello svolgimento si perdona facilmente, ben mascherata da un'ambientazione gotica quasi ospedaliera e dall'ottima performance di Cushing e dei suoi comprimari.
Seguito di La maschera di Frankenstein (1957) che vede al lavoro Terence Fisher con lo stesso sceneggiatore e il medesimo protagonista, La maschera di Frankenstein sembra quasi scritto in continuità con il capitolo precedente. Portando avanti la propria convinzione filosofica, Fisher e Cushing danno vita a un secondo ritratto dello scienziato pazzo ugualmente disturbante e incisivo, anzi, se possibile, ancor più inquietante proprio perché incallito nelle proprie ossessioni nonostante le sue terrificanti esperienze. Se la creatura non ha più le fattezze emaciate di Christopher Lee (qui è interpretato da Michael Gwynn) guadagna però una consapevolezza mutuata dal romanzo (dove il mostro si esprime in modo forbito) e rappresenta, con la propria irruzione in società, un'anarchica e brutale critica all'ipocrisia piccolo-borghese che dà priorità alle apparenze. L'aspetto crudo e puramente violento, tuttavia, non viene meno, con il mostro sospettato addirittura di cannibalismo: qualche incongruenza nella logica dello svolgimento si perdona facilmente, ben mascherata da un'ambientazione gotica quasi ospedaliera e dall'ottima performance di Cushing e dei suoi comprimari.