Il principe consorte
The Love Parade
Durata
107
Formato
Regista
La regina Luisa (Jeanette MacDonald), sovrana del piccolo stato di Sylvania decide finalmente di sposarsi e la scelta ricade sul conte Alfred Renard (Maurice Chevalier), donnaiolo cacciato da Parigi per la sua condotta poco esemplare. Ben presto Alfred mostra insofferenza per il suo nuovo ruolo da marito “trofeo”, principe consorte per nulla considerato e rispettato, e medita di tornare alla vecchia vita.
Primo film parlato e cantato girato da Lubitsch, nonché prima collaborazione tra l'autore tedesco e il duo composto da Jeanette MacDonald (all'esordio cinematografico) e Maurice Chevalier. Notevole e sorprendente il modo in cui Lubitsch riesce a maneggiare il mezzo sonoro, ottimizzando al massimo le capacità canterine dei suoi due protagonisti e lavorando con impagabile maestria e intelligenza, sia sull'efficacia e sulla musicalità dei dialoghi, sia sulla pregnanza significativa dei (rari) momenti di silenzio. Assai pregevoli e per nulla banali anche l'uso del fuori campo e di sottintesi e ammiccamenti, già prerogative consumate del “Lubitsch touch”. Alla base c'è però una sceneggiatura poco articolata, funzionale solo a dar vita a numeri musicali sicuramente ben confezionati, ma costantemente a rischio ripetitività. All'epoca fu un grande successo, mentre oggi appare come uno spettacolo piacevole ma semplicistico rispetto ai grandi film (precedenti e successivi) del regista.
Primo film parlato e cantato girato da Lubitsch, nonché prima collaborazione tra l'autore tedesco e il duo composto da Jeanette MacDonald (all'esordio cinematografico) e Maurice Chevalier. Notevole e sorprendente il modo in cui Lubitsch riesce a maneggiare il mezzo sonoro, ottimizzando al massimo le capacità canterine dei suoi due protagonisti e lavorando con impagabile maestria e intelligenza, sia sull'efficacia e sulla musicalità dei dialoghi, sia sulla pregnanza significativa dei (rari) momenti di silenzio. Assai pregevoli e per nulla banali anche l'uso del fuori campo e di sottintesi e ammiccamenti, già prerogative consumate del “Lubitsch touch”. Alla base c'è però una sceneggiatura poco articolata, funzionale solo a dar vita a numeri musicali sicuramente ben confezionati, ma costantemente a rischio ripetitività. All'epoca fu un grande successo, mentre oggi appare come uno spettacolo piacevole ma semplicistico rispetto ai grandi film (precedenti e successivi) del regista.