Guido (Paolo Villaggio) torna a Milano dopo diversi anni lontano dall'Italia e trova la città in mano alla criminalità e alla mafia, mentre i suoi abitanti, senza provare a ribellarsi, accettano con rassegnazione la situazione. L'uomo proverà ad aprire un'attività onesta, ma le difficoltà che incontrerà lo porteranno sull'orlo del fallimento.

Villaggio torna a lavorare con Luciano Salce, il regista che lo ha reso celebre nei panni del meschino ragioner Ugo Fantozzi, ma, dopo una parte iniziale in cui sembrano voler prendere le distanze dal personaggio, i due cadono nel tranello di reiterare le gag slapstick che l'hanno caratterizzato: l'atmosfera che si finisce per respirare è pesantemente fantozziana anche a causa della presenza di due indimenticabili comprimari della serie, Anna Mazzamauro e Gigi Reder. L'intrigante spunto grottesco che caratterizza l'ambientazione, una Milano degli anni Settanta in mano alla criminalità e alle pretestuose rivendicazioni sociali, perde quindi vigore, appiattito in situazioni create ad hoc per dar spazio alle smorfie dell'attore genovese. Lungi dal risultare sagace e tagliente, come avrebbe potuto e dovuto essere, la pellicola si appiattisce in un'analisi superficiale di problematiche che avrebbero meritato uno sguardo assai più attento.
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