Throw Down
Yau doh lung fu bong
Durata
95
Formato
Regista
Ex promessa del judo, Sze-To (Louis Koo) ha abbandonato il circuito dei tornei per dedicarsi alla gestione di un locale. La necessità di aiutare il suo vecchio maestro e l'incontro con Tony (Aaron Kwok) e Mona (Cherrie Ying), rispettivamente judoka alla ricerca di sfide nuove e aspirante cantante, lo riporterà alla sua vecchia passione.
Esplicito omaggio al cinema di Akira Kurosawa, Throw Down è indubbiamente una delle pellicole più personali di Johnnie To e probabilmente anche tra le più riuscite. Ad accentuarne le peculiarità c'è il fatto che il film raggiunge le sale nello stesso anno di Breaking News, progetto che tra action e noir racchiude bene quegli elementi che hanno segnato la carriera del regista hongkonghese, dalla fondazione della Milkyway in avanti. Ma Throw Down è diverso, seppur contrassegnato dalla medesima cura formale, tra movimenti di macchina complessi e una fotografia semplicemente impeccabile: non ci sono gangster, seppure si sfiori il solito sottobosco criminale dell'ex colonia britannica, non ci sono antieroi ma semplici uomini piegati dalla vita e alla ricerca dell'ultima speranza rimasta. Il film racconta insomma, in modo anche commovente, una storia di redenzione che passa attraverso i valori e la disciplina impartiti dalle arti marziali, il judo in questo caso. La sceneggiatura regge fino alla fine e il risultato è un lungometraggio imprescindibile per i fan del regista asiatico, e non solo.
Esplicito omaggio al cinema di Akira Kurosawa, Throw Down è indubbiamente una delle pellicole più personali di Johnnie To e probabilmente anche tra le più riuscite. Ad accentuarne le peculiarità c'è il fatto che il film raggiunge le sale nello stesso anno di Breaking News, progetto che tra action e noir racchiude bene quegli elementi che hanno segnato la carriera del regista hongkonghese, dalla fondazione della Milkyway in avanti. Ma Throw Down è diverso, seppur contrassegnato dalla medesima cura formale, tra movimenti di macchina complessi e una fotografia semplicemente impeccabile: non ci sono gangster, seppure si sfiori il solito sottobosco criminale dell'ex colonia britannica, non ci sono antieroi ma semplici uomini piegati dalla vita e alla ricerca dell'ultima speranza rimasta. Il film racconta insomma, in modo anche commovente, una storia di redenzione che passa attraverso i valori e la disciplina impartiti dalle arti marziali, il judo in questo caso. La sceneggiatura regge fino alla fine e il risultato è un lungometraggio imprescindibile per i fan del regista asiatico, e non solo.