Il dottor Bedoya (Gian Maria Volonté) torna in uno sperduto villaggio della Colombia molti anni prima teatro di un tragico fatto di sangue. La memoria lo porta a rivivere la storia del suo amico Santiago Nasar (Anthony Delon), vittima di un mai chiarito delitto d'onore in cui tutti gli abitanti del paese sono stati complici.

Poco o nulla funziona in questo letargico adattamento cinematografico di una delle opere letterarie sudamericane più celebri e amate di tutti i tempi. L'errore di fondo, per stessa ammissione di Rosi, è stato quello di non tradire a sufficienza il romanzo di Marquez, apologo sull'omertà difficilissimo da trasformare in un film a causa della sua complessa struttura narrativa. Forse per un eccesso di soggezione da parte del regista napoletano verso l'opera e l'amicizia dello scrittore colombiano, la sceneggiatura, in molti suoi aspetti, è rimasta preda di un palese eccesso di letterarietà. Molti personaggi risultano privi di una qualsivoglia dimensione cinematografica, e il tutto è reso ancora più imbarazzante da alcune scelte nel cast molto poco azzeccate. Totalmente fuori contesto, per esempio, è Rupert Everett nell'importante ruolo di Bayardo San Roman. Anche il connubio tra un mostro sacro come Volonté e una nidiata di aitanti giovani attori risulta disomogeneo e incongruo, in particolare nella scelta di far interpretare il personaggio di Bedoya da giovane da un attore straniero. Completa il disastro una regia televisiva e poco ispirata, assorta in inutili contemplazioni naturalistiche.
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