Attore cinematografico (Lou Castel) ritorna nell'odiata Bologna per celebrare i funerali del fratello gemello, morto suicida. Lì ritrova l'affetto della madre (Emmanuelle Riva) e, forse, l'amore per Wanda (Angela Molina), la fidanzata del fratello.

Spietata (ma non sempre lucida) analisi di una famiglia italiana, Gli occhi, la bocca, nonostante un potentissimo finale, resta un prodotto meno coraggioso di quanto la trama e il nome di Marco Bellocchio avrebbero potuto far pensare. Seguito ideale e speculare dell'opera prima del regista, I pugni in tasca (1965), il film ripropone il medesimo attore protagonista (Lou Castel), uguale e al contempo diverso dall'Ale dell'esordio bellocchiano: una figura fragile e psicotica, sempre sull'orlo di implodere, inserita solo in apparenza in una società conformista ma dilaniato da inconfessabili paure e da un lancinante senso di inadeguatezza. Le sfaccettature psicologiche sono di buon livello, ma i dialoghi non sono sempre all'altezza: su tutto aleggia un senso di prevedibilità e schematismo. Buone, tuttavia, le interpretazioni di tutto il cast (incluso Sergio Castellitto, chiamato a doppiare Lou Castel).


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