L'editore Abraham Klint (Bernard Verley) si mette a investigare su un caso di possessione divina. Qualche anno prima, infatti, Rachel (Laurence Masliah) ha trovato suo marito, Simon (Gérard Depardieu), del tutto cambiato dopo aver fatto un viaggio in Italia: il sospetto è che un dio si fosse incarnato in lui.

Da sempre il tema del doppio ha attraversato il cinema di Jean-Luc Godard e continuerà a farlo anche nel nuovo millennio (in particolare in Adieu au langage del 2014). Nel corpo del marito albergano due differenti identità e la moglie ama (forse) due uomini differenti: è una storia ambigua, Hélas pour moi, un racconto veicolato da diversi punti di vista (Klimt interroga i diversi abitanti del luogo) e nel quale si sovrappongono più possibili verità. È una cronologia frammentata quella che mette in scena Godard, a tratti impenetrabile e fin confusa nel suo appoggiarsi a una fitta rete di voci e sensazioni diverse. Il mistero (della fede?) rimane, mentre la narrazione viene costantemente interrotta da citazioni di ogni sorta. È anche una riflessione un po' controversa sul senso del sacro nel mondo postmoderno (i nomi sono di derivazione biblica), troppo ambiziosa anche per un autore come Godard, ed eccessivamente ostica perfino per la sua lunga fila di fan. Ispirato all'opera teatrale Amphytrion 38 di Jean Giroudoux.
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