Il bandito delle 11
Pierrot le fou
Durata
110
Formato
Regista
Diversi anni dopo essersi lasciati, Ferdinand (Jean-Paul Belmondo) e Marianne (Anna Karina) si ritrovano e fuggono insieme: lui è stufo della sua vita borghese con moglie a carico; lei stanca di passare le sue giornate con una banda di criminali. La fiamma si riaccende ma non tutto andrà come previsto.
Concitato, sovversivo, indimenticabile. Il bandito delle 11 è una delle opere più importanti firmate Jean-Luc Godard: un film in cui ritorna, innanzitutto, il tema della fuga, che il regista aveva già trattato nel suo celebre esordio, Fino all'ultimo respiro (1960). È un'opera romantica, ma mai smielata che, in mezzo a inserti surreali e decise provocazioni audiovisive, mostra le difficoltà del vivere borghese e l'impossibilità di comunicazione all'interno della coppia moderna: argomento già trattato nel precedente Il disprezzo (1963). Lo si può infatti definire una summa di tutto ciò che Godard ha fatto fino a quel momento, ma mai come in questo caso il regista ha dato tanta importanza al colore e a una struttura frammentata e lucidamente sperimentale. Si cita la letteratura, la poesia, la pittura, il cinema (notevole cameo di Samuel Fuller), eppure di fronte a Il bandito delle 11 si ha la sensazione di un prodotto unico e forte di un'identità propria. In perenne crescita con il passare dei minuti, raggiunge l'apice nel memorabile finale in cui Jean-Paul Belmondo, dopo essersi dipinto il volto di blu, si lega intorno al capo una fila di candelotti di dinamite rossi e gialli. È uno dei suicidi più angoscianti dell'intera storia del cinema, perfetta conclusione esplosiva del primo periodo godardiano. Il titolo originale, Pierrot le fou, fa riferimento al nome con cui Marianne chiama il personaggio maschile.
Concitato, sovversivo, indimenticabile. Il bandito delle 11 è una delle opere più importanti firmate Jean-Luc Godard: un film in cui ritorna, innanzitutto, il tema della fuga, che il regista aveva già trattato nel suo celebre esordio, Fino all'ultimo respiro (1960). È un'opera romantica, ma mai smielata che, in mezzo a inserti surreali e decise provocazioni audiovisive, mostra le difficoltà del vivere borghese e l'impossibilità di comunicazione all'interno della coppia moderna: argomento già trattato nel precedente Il disprezzo (1963). Lo si può infatti definire una summa di tutto ciò che Godard ha fatto fino a quel momento, ma mai come in questo caso il regista ha dato tanta importanza al colore e a una struttura frammentata e lucidamente sperimentale. Si cita la letteratura, la poesia, la pittura, il cinema (notevole cameo di Samuel Fuller), eppure di fronte a Il bandito delle 11 si ha la sensazione di un prodotto unico e forte di un'identità propria. In perenne crescita con il passare dei minuti, raggiunge l'apice nel memorabile finale in cui Jean-Paul Belmondo, dopo essersi dipinto il volto di blu, si lega intorno al capo una fila di candelotti di dinamite rossi e gialli. È uno dei suicidi più angoscianti dell'intera storia del cinema, perfetta conclusione esplosiva del primo periodo godardiano. Il titolo originale, Pierrot le fou, fa riferimento al nome con cui Marianne chiama il personaggio maschile.