Dopo il disastro di Chernobyl niente è più tornato alla normalità: persino le grandi opere d'arte sono state dimenticate. William Shakespeare Jr. (Peter Sellars) cerca di ridare dignità ai lavori del suo celebre antenato: decide così di portare sul grande schermo “Re Lear”, ma fatica a ricordarsi le linee guida della trama.

È una pellicola su un film da farsi, Re Lear, ennesimo tassello nella carriera di Godard incentrato su un prodotto cinematografico "in lavorazione". L'idea è quella di utilizzare un testo classico adatto per essere riletto in epoca contemporanea: la tragedia originale di Shakespeare viene ripensata, ma i punti di contatto tra il testo e la realtà di fine anni Ottanta sono molteplici. Ora, però, non è più la parola la protagonista dell'atto del raccontare: è l'immagine il centro propulsivo da cui si estendono ramificazioni di senso di vario tipo. Le premesse ci sono, ma il tutto è confuso, macchinoso, caotico: il Re Lear di Godard risulta così un prodotto poco calibrato e pieno di sospensioni e vuoti da riempire. La ricerca del regista può risultare coinvolgente, ma i troppi elementi chiamati in causa fanno disperdere l'attenzione su quelli che rimangono gli argomenti più interessanti: la deriva dell'universo audiovisivo, in particolare, e dello show-business. Il cinema (forse) può essere la salvezza, ma la tesi a cui vuole arrivare il regista è perlopiù inafferrabile e contorta. Camei di Norman Mailer e Woody Allen. Godard appare anche davanti alla macchina da presa in veste decisamente ironica.
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