Lettera a tre mogli
A Letter to Three Wives
Premi Principali
Oscar alla miglior regia 1950
Oscar alla miglior sceneggiatura non originale 1950
Durata
103
Formato
Regista
Tre giovani mogli, Deborah (Jeanne Crain), Lola (Linda Darnell) e Rita (Ann Sothern), ricevono la lettera di un'amica (la fantomatica Eva Ross), la quale annuncia che se ne è andata col marito di una di loro. Nel momento di panico che segue, le tre donne ripercorrono il passato, le tappe dei rispettivi matrimoni, le incomprensioni, le gelosie e le contraddizioni non risolte.
«Brillante, intelligente, quasi diabolico per precisione, abilità e sapienza»: così François Truffaut nel volume I film della mia vita parla di questa pellicola, primo grande successo commerciale e critico di Mankiewicz. Il regista e sceneggiatore descrive il matrimonio come istituzione sociale che porta inevitabilmente le persone a far emergere il peggio di sé stessi, in primis paure e fragilità sentimentali. Ritratto arguto di una società piccolo borghese che tenta in tutti i modi di conformarsi (appianando le differenze di classe, adattandosi al guadagno facile che valorizza la superficialità e mortifica l'intelligenza, ponendo le convenienze economiche davanti a quelle sentimentali), ma non riesce a nascondere tutte le proprie insicurezze e il senso di smarrimento dinnanzi a una realtà che si vorrebbe semplice ma che si mostra assai complessa e imprevedibile. Il personaggio fantasmatico di Eva Ross, evocato ma mai fisicamente presente in scena, può essere letto come una sorta di alter ego dello stesso Mankiewicz, demiurgo che tesse le fila del racconto, sconvolge le esistenze delle sue protagoniste e osserva con sguardo distaccato e amaramente divertito un'umanità inquieta ma sincera e proprio per questo vulnerabile e toccante. Grande prova di tutto il cast. Due Oscar: miglior regia e miglior sceneggiatura.
«Brillante, intelligente, quasi diabolico per precisione, abilità e sapienza»: così François Truffaut nel volume I film della mia vita parla di questa pellicola, primo grande successo commerciale e critico di Mankiewicz. Il regista e sceneggiatore descrive il matrimonio come istituzione sociale che porta inevitabilmente le persone a far emergere il peggio di sé stessi, in primis paure e fragilità sentimentali. Ritratto arguto di una società piccolo borghese che tenta in tutti i modi di conformarsi (appianando le differenze di classe, adattandosi al guadagno facile che valorizza la superficialità e mortifica l'intelligenza, ponendo le convenienze economiche davanti a quelle sentimentali), ma non riesce a nascondere tutte le proprie insicurezze e il senso di smarrimento dinnanzi a una realtà che si vorrebbe semplice ma che si mostra assai complessa e imprevedibile. Il personaggio fantasmatico di Eva Ross, evocato ma mai fisicamente presente in scena, può essere letto come una sorta di alter ego dello stesso Mankiewicz, demiurgo che tesse le fila del racconto, sconvolge le esistenze delle sue protagoniste e osserva con sguardo distaccato e amaramente divertito un'umanità inquieta ma sincera e proprio per questo vulnerabile e toccante. Grande prova di tutto il cast. Due Oscar: miglior regia e miglior sceneggiatura.