Racconto in musica e danza delle storie pluri-generazionali di quattro famiglie (tra l'Europa e l'America, dal 1936 fino agli anni Ottanta), le cui vite sono state inesorabilmente segnate dalla Seconda guerra mondiale e dall'Olocausto.

Dalle Folies Bergère al Balletto russo, dalle compagnie di strada al musical, dai Preludi di Liszt e Chopin fino al Bolero di Ravel che ispira il titolo italiano, Claude Lelouch, cercando l'epicità del racconto corale, compie un viaggio tra le note musicali del Novecento, rispondendo forse a un'aspirazione già inscritta in opere precedenti (come La canaglia del 1970) e future (And now… Ladies and gentlemen del 2002) e degna del compositore che l'ha sempre accompagnato, Francis Lai. Se tutto è affidato alla colonna sonora, anche i titoli di testa vengono enunciati da una voce fuori campo, mentre le parole in sceneggiatura sono ridotte al minimo, a volte a malapena udibili: è infatti la Storia a pretendere la maggiore risonanza con il suo passaggio brutale per tutti. Theodor Adorno diceva che dopo la Shoah è impossibile fare dell'arte; in seguito all'esperienza della guerra, i protagonisti che ne vengono coinvolti sembrano riflettere involontariamente il supposto adorniano, ritrovandosi in perenne e ancestrale difficoltà nelle rispettive carriere musicali. Ma rimane comunque un film di Lelouch, con gli usuali limiti: inconsistenza e referenzialità, aggravate dalla mastodontica durata. Comparsata, non accreditata, per la futura star Sharon Stone.
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