La belle histoire
La belle histoire
Durata
210
Formato
Regista
A distanza di 2000 anni dai miracoli e dalla crocefissione del Messia cristiano, in Francia diversi personaggi inseguono il richiamo di vite passate, incontrandosi lungo il cammino.
Con un film-turbine che racchiude più epoche e storie che a loro volta si sovrappongono senza soluzione di continuità, dalla durata epica (3 ore e mezza) e dal budget milionario, Lelouch firma la sua opera più estrema e folle, sia nel perseguire un personalissimo animismo cinematografico, che vorrebbe rivitalizzare il cristianesimo con lo spirito gitano e la filosofia della reincarnazione, sia nello stratificare la narrazione con salti temporali millenari e cambi di prospettiva tra i numerosi personaggi in scena. Alla ricerca del “respiro dell'eternità” attraverso le “belle storie” raccontate, che si inseriscono direttamente nella storia delle storie come in una matrioska infinita e seriale, il regista di Un uomo, una donna (1966) cerca di richiamare l'universalità spirituale dell'animo umano unitamente alla spettacolarizzazione degli eventi leggendari e quotidiani. E, se spesso zoppica per una sceneggiatura dalle troppe ingenuità e dalle molteplici semplificazioni mistiche, Lelouch riesce comunque a coinvolgere, grazie a un montaggio rischioso ma ipnotizzante e, ancora di più, grazie all'accattivante colonna sonora: non parliamo soltanto della musica originale dell'inseparabile Francis Lai e di Philippe Servain, ma soprattutto dei brani di flamenco, dei canti popolari, dei Gipsy Kings, della canzone classica francese, in una straripante ma perfetta orchestrazione. Frammentario, avventato, indubbiamente non troppo riuscito, ma ugualmente sfrontato e a tratti notevole.
Con un film-turbine che racchiude più epoche e storie che a loro volta si sovrappongono senza soluzione di continuità, dalla durata epica (3 ore e mezza) e dal budget milionario, Lelouch firma la sua opera più estrema e folle, sia nel perseguire un personalissimo animismo cinematografico, che vorrebbe rivitalizzare il cristianesimo con lo spirito gitano e la filosofia della reincarnazione, sia nello stratificare la narrazione con salti temporali millenari e cambi di prospettiva tra i numerosi personaggi in scena. Alla ricerca del “respiro dell'eternità” attraverso le “belle storie” raccontate, che si inseriscono direttamente nella storia delle storie come in una matrioska infinita e seriale, il regista di Un uomo, una donna (1966) cerca di richiamare l'universalità spirituale dell'animo umano unitamente alla spettacolarizzazione degli eventi leggendari e quotidiani. E, se spesso zoppica per una sceneggiatura dalle troppe ingenuità e dalle molteplici semplificazioni mistiche, Lelouch riesce comunque a coinvolgere, grazie a un montaggio rischioso ma ipnotizzante e, ancora di più, grazie all'accattivante colonna sonora: non parliamo soltanto della musica originale dell'inseparabile Francis Lai e di Philippe Servain, ma soprattutto dei brani di flamenco, dei canti popolari, dei Gipsy Kings, della canzone classica francese, in una straripante ma perfetta orchestrazione. Frammentario, avventato, indubbiamente non troppo riuscito, ma ugualmente sfrontato e a tratti notevole.