Stati Uniti, 1992. Mark Whitacre (Matt Damon) è un dirigente che lavora presso la ADM, una multinazionale nel campo agroalimentare. Decide di collaborare con l'FBI per smascherare azioni illecite della società, ma col procedere delle indagini suo comportamento si fa sempre più ambiguo.

Tratto da una storia vera raccontata nell'omonimo libro The Informant (a True Story) di Kurt Eichenwald. Tra commedia e humour nero, una farsa su un uomo in perenne contraddizione con se stesso, abituato a mentire e vittima di una inarrestabile avidità. Perché Mark si comporta in quel modo? Perché fare il doppio gioco? Soderbergh imbastisce un film sul vero/falso, sull'apparenza, sulla menzogna e sulla meschinità della truffa: nessuna accusa e nemmeno grande complessità, ma una lucida ironia a denti stretti, con il valore aggiunto di un Matt Damon truccato e sovrappeso (nominato ai Golden Globe per questa sua prova). Manca però un adeguato mordente registico e narrativo: l'interesse finisce così per calare gradualmente con il passare dei minuti. Monocorde e meno ficcante di quanto vorrebbe sembrare, un gioco esile il cui potenziale viene sostanzialmente sprecato.
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