Un impiegato d'ufficio, Fletcher Munson (Steven Soderbergh), deve scrivere un discorso per un famoso filosofo. Il dottor Jeffrey Korchek (Steven Soderbergh) si invaghisce di una paziente. La signora Munson (Betsy Branltey) è in crisi con il marito Fletcher. La stessa storia viene raccontata da tre punti di vista diversi.

Curioso, ma abbastanza autoreferenziale, esperimento narrativo. Senza una vera e propria trama, la pellicola si dipana in tre atti narrativi diversi che seguono ognuno un personaggio e il suo punto di vista della storia. Tra virtuosismi registici e digressioni nell'assurdo, sul tutto domina il nonsense di una pellicola metacinematografica che più volte riflette sul concetto di “film nel film”, ma lo fa in maniera sciatta e spesso irritante. Un centro tematico potrebbe essere l'assenza di rapporti e la mancanza di comunicazione tra esseri umani, con i personaggi che spesso parlano lingue diverse o si esprimono con parole prive di senso: il messaggio però è confuso e il film si perde molto presto, riducendosi a un mero esercizio di stile. Il difetto principale, però, sta nella mancanza di motivazioni che giustificano gli sviluppi narrativi, portando così l'interesse a calare con il passare dei minuti, dando vita a un risultato vuoto e pretenzioso. Accettare il gioco messo in scena da Soderbergh, in questo caso, è quasi impossibile.
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