Chi lavora è perduto (In capo al mondo)
Durata
85
Formato
Regista
L'ambizioso Bonifacio (Sady Rebbot) è annoiato dalla routine che il lavoro d'azienda rappresenta, e decide di ribellarsi al sistema, ispirato dall'idealismo anarchico di alcuni amici.
Controverso esordio alla regia del milanese Giovanni “Tinto” Brass, che debutta con un imperfetto film di para-inchiesta giovanile che gli procurò non pochi problemi con la censura dell'epoca. Riuscito a uscire nelle sale nella versione cui il regista aveva originariamente pensato (con la sola variazione del titolo, inizialmente In capo al mondo), il film, che ha in Venezia epicentro importante, è ardito e sperimentale, si garantisce scelte narrative e di montaggio libere e indaga, in maniera provocatoria, su una società in trasformazione che da un lato non trascura i difficili e impegnativi retaggi del passato – fascismo e dopoguerra – e dall'altro abbraccia le nuove istanze anarchiche e ideologiche fondamentali nella costruzione del personaggio principale, cinque anni prima degli smottamenti sessantottini. Tinto Brass appare in un cameo come paparazzo.
Controverso esordio alla regia del milanese Giovanni “Tinto” Brass, che debutta con un imperfetto film di para-inchiesta giovanile che gli procurò non pochi problemi con la censura dell'epoca. Riuscito a uscire nelle sale nella versione cui il regista aveva originariamente pensato (con la sola variazione del titolo, inizialmente In capo al mondo), il film, che ha in Venezia epicentro importante, è ardito e sperimentale, si garantisce scelte narrative e di montaggio libere e indaga, in maniera provocatoria, su una società in trasformazione che da un lato non trascura i difficili e impegnativi retaggi del passato – fascismo e dopoguerra – e dall'altro abbraccia le nuove istanze anarchiche e ideologiche fondamentali nella costruzione del personaggio principale, cinque anni prima degli smottamenti sessantottini. Tinto Brass appare in un cameo come paparazzo.