Donne facili
Les bonnes femmes
Durata
100
Formato
Regista
Alcune amiche (Bernadette Lafont, Clotilde Joano, Stéphane Audran, Lucile Saint-Simon) lavorano come commesse e sperano di incontrare qualcuno che le sottragga alla loro condizione, anche se i desideri di ognuna non sono esattamente identici.
Spaccato corale al femminile per il regista francese Claude Chabrol, autore ancora agli esordi che dà voce a quattro donne elevandole a modello esemplare sul quale applicare il proprio sguardo, rivolto a una società che cambia di pari passo alle aspettative individuali che mutano e assumono un'altra fisionomia rispetto al passato. Chabrol è equidistante rispetto alle proprie protagoniste, nei confronti delle quali non opera mai delle forzature melodrammatiche, lavorando su di esse in maniera prosaica, “documentaristica”, senza l'esubero di alcun tipo di orpello. Quella del regista è una visione disincantata e disinteressata alla pruriginosità del privato, votata piuttosto ai fragili equilibri della vita quotidiana, trasposti sullo schermo con fedeltà e aderenza. Uno sguardo incline, soprattutto, a cogliere l'intima essenza della provincia e dell'esistenza della gente ordinaria che la abita, mostrandola senza nessuna scorciatoia, con una tridimensionalità e una verosimiglianza quanto più marcate possibile. Il tocco autoriale sembra quello di un antropologo che però non rinuncia agli strumenti del thrilling e del mistery e focalizza la sua attenzione su immagini che appaiono sempre e comunque pensate in profondità, mai superficiali, puntualmente cariche d'interesse. Gli si può rimproverare soltanto, in questo caso, di non prendere una posizione mai troppo netta e di indugiare talvolta in maniera ambigua su alcuni passaggi. Alquanto rivedibile, al contrario, il titolo italiano.
Spaccato corale al femminile per il regista francese Claude Chabrol, autore ancora agli esordi che dà voce a quattro donne elevandole a modello esemplare sul quale applicare il proprio sguardo, rivolto a una società che cambia di pari passo alle aspettative individuali che mutano e assumono un'altra fisionomia rispetto al passato. Chabrol è equidistante rispetto alle proprie protagoniste, nei confronti delle quali non opera mai delle forzature melodrammatiche, lavorando su di esse in maniera prosaica, “documentaristica”, senza l'esubero di alcun tipo di orpello. Quella del regista è una visione disincantata e disinteressata alla pruriginosità del privato, votata piuttosto ai fragili equilibri della vita quotidiana, trasposti sullo schermo con fedeltà e aderenza. Uno sguardo incline, soprattutto, a cogliere l'intima essenza della provincia e dell'esistenza della gente ordinaria che la abita, mostrandola senza nessuna scorciatoia, con una tridimensionalità e una verosimiglianza quanto più marcate possibile. Il tocco autoriale sembra quello di un antropologo che però non rinuncia agli strumenti del thrilling e del mistery e focalizza la sua attenzione su immagini che appaiono sempre e comunque pensate in profondità, mai superficiali, puntualmente cariche d'interesse. Gli si può rimproverare soltanto, in questo caso, di non prendere una posizione mai troppo netta e di indugiare talvolta in maniera ambigua su alcuni passaggi. Alquanto rivedibile, al contrario, il titolo italiano.