Una tribù di uomini allo stato brado trova nella foresta una palla da croquet. Nel seguirla, il gruppo si imbatte in un'automobile e giunge alle porte di un'incantevole residenza signorile: esplorato l'interno, i primitivi iniziano ad assumere gradualmente i ruoli della società U.S.A. degli anni Venti. Presto ritorneranno al loro status originario.

Il discorso allegorico che James Ivory struttura e formula – a partire dalla sceneggiatura di George Swift Trow e Michael O'Donoghue – vorrebbe essere un'allegoria tagliente e corrosiva sulle sfumature, prima impercettibili, poi esplosive, tra civiltà e barbarie. Finisce tuttavia per evolversi, in maniera deformata, in un apologo prolisso e compiaciuto, qualunquista e compilativo. Ispirato da Luis Buñuel come nume tutelare della sua opera, Ivory non spiazza, ma si limita a chiudere in sordina, a sovraccaricare contesti grotteschi e stranianti senza colpire e coinvolgere fino in fondo. Un'occasione sprecata.
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