Invischiata in una relazione con Stash (Adam Coleman Howard), un artista volubile e nevrastenico, la dolce Eleanor (Bernadette Peters) si divide tra il lavoro d'ufficio e la passione per la moda, che sfocia spesso nella creazione di bizzarri cappellini. Quando l'uomo la lascerà, si scoprirà finalmente libera.

Basato sui racconti Slaves of New York di Tama Janowitz, che firma anche la sceneggiatura, è un'operina che vorrebbe tentare la carta del midcult senza, tuttavia, fare i conti con una significativa assenza di identità. La mano di James Ivory, qui lontano dalla sceneggiatrice di fiducia Ruth Prawer Jhabvala, non si fa sentire; la Janowitz ri-codifica i suoi racconti metropolitani di moda, cappelli e colori con estrema sicurezza, ma non riesce a cavarne nulla di memorabile, né di eccessivamente ironico o icastico. La sua New York è eccessiva, goffa, spesso insopportabile, una galleria queer di party e situazioni costellati da una compagine di tipi umani al limite della macchietta socio-antropologica. Resistono, quantomeno, la professionalità della diva di Broadway Bernadette Peters e la simpatia di un cast di supporto notevole.
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