L'ex partigiano Silvio Magnozzi (Alberto Sordi) fa il giornalista in una testata di sinistra e ha sposato la provinciale Elena Pavinato (Lea Massari). Una vita fatta di pochi alti e tanti bassi, sempre all'insegna della dignità.

Dino Risi racconta l'Italia dall'8 settembre '43 fino al boom economico, e lo fa lasciandosi (quasi) completamente alle spalle la commedia per gettarsi nelle fauci di un dramma malinconico senza precedenti. Silvio ed Elena sono due straordinari archetipi di un paese che con gli anni scompare nella nebbia del progresso, dimenticato dalle abbaglianti luci dell'opulenza ritrovata. Personaggi dalla dignità unica, che per loro natura, sono inevitabilmente costretti a fare la scelta più giusta (che però nella realtà equivale alla più dolorosa). Il merito va a una delle sceneggiature più intense e ficcanti del cinema italiano del dopoguerra, scritta da Rodolfo Sonego. Oltre a una Lea Massari asciutta e chirurgica nel calarsi in parte, è impossibile dimenticare uno dei personaggi a cui lo stesso Sordi era più affezionato: il suo Magnozzi spiazza fin da subito il pubblico, abituato a vedere l'attore sempre nei panni dell'egoista disposto al sotterfugio. Qui invece, a parte qualche tentennamento intrinseco e qualche sciagura involontaria, Sordi reagisce coraggiosamente d'istinto preferendo muoversi entro i limiti della sua coscienza. In questo senso, è indimenticabile la sequenza in cui l'attore romano sputa ubriaco e deluso sulle auto che passano nell'alba di Viareggio o l'esilarante cena dai nobili durante la proclamazione della Repubblica (galleria straordinaria di nostalgici mostri opportunisti). Il messaggio è forte e chiaro: in una società dove scompaiono gli ideali e contano solo gli obiettivi, è necessario scendere a compromessi. O forse no? Breve cameo di Vittorio Gassman (non accreditato) nella parte di se stesso.
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