Non rimpiango la mia giovinezza
Waga seishun ni kuinashi
Durata
110
Formato
Regista
Giappone, anni Trenta. Allievo del professor Yagihara (DenjirĹ OkĹchi), l'idealista Noge (Susumu Fujita) esprime il suo dissenso nei confronti della gestione governativa. Catturato dalla polizia, viene sottoposto a brutali torture: la giovane fidanzata Yukie (Setsuko Hara), figlia di Yagihara, vedrà cambiare tragicamente la propria esistenza.
Akira Kurosawa, anche sceneggiatore (non accreditato) con EijirĹ Hisaita, riflette sul clima allucinato derivante dal conflitto bellico, superando in corsa le limitanti ideologie politiche per tratteggiare la maturazione personale e traumatica della protagonista (contro ogni convenzione, una donna). «Senza verità, anche l'arte è solo finzione»: il regista sembra ripensare al proprio ruolo di cantore cinematografico e pone le basi della rappresentazione su due livelli: il realismo filmico (la minuziosa analisi dell'interiorità di Yukie, sempre piĂą pietrificata e consapevole in seguito alla visione di indicibili orrori) e l'onestà intellettuale connaturata al ruolo di metteur en scène, con la necessità di sviscerare un tema cardine nella cultura nipponica dell'epoca. Il risultato è incisivo e coerente, anche se lievemente acerbo nello stile e appesantito da qualche picco retorico; l'iter emozionale del personaggio, in ogni caso, risulta coinvolgente (a tratti straziante) grazie a caratterizzazioni scevre da stereotipizzazione e la concentrazione narrativa riesce a stigmatizzare il fulcro concettuale di temi scottanti. Straordinaria la parte finale, esaltata da una tecnica quasi sperimentale che regala almeno una sequenza da antologia: le mani di Yukie, immerse nell'acqua, si fanno metafora di un passato irraggiungibile tramite il richiamo alla tastiera di un pianoforte. Musiche di Tadashi Hattori, fotografia di Asakazu Nakai.
Akira Kurosawa, anche sceneggiatore (non accreditato) con EijirĹ Hisaita, riflette sul clima allucinato derivante dal conflitto bellico, superando in corsa le limitanti ideologie politiche per tratteggiare la maturazione personale e traumatica della protagonista (contro ogni convenzione, una donna). «Senza verità, anche l'arte è solo finzione»: il regista sembra ripensare al proprio ruolo di cantore cinematografico e pone le basi della rappresentazione su due livelli: il realismo filmico (la minuziosa analisi dell'interiorità di Yukie, sempre piĂą pietrificata e consapevole in seguito alla visione di indicibili orrori) e l'onestà intellettuale connaturata al ruolo di metteur en scène, con la necessità di sviscerare un tema cardine nella cultura nipponica dell'epoca. Il risultato è incisivo e coerente, anche se lievemente acerbo nello stile e appesantito da qualche picco retorico; l'iter emozionale del personaggio, in ogni caso, risulta coinvolgente (a tratti straziante) grazie a caratterizzazioni scevre da stereotipizzazione e la concentrazione narrativa riesce a stigmatizzare il fulcro concettuale di temi scottanti. Straordinaria la parte finale, esaltata da una tecnica quasi sperimentale che regala almeno una sequenza da antologia: le mani di Yukie, immerse nell'acqua, si fanno metafora di un passato irraggiungibile tramite il richiamo alla tastiera di un pianoforte. Musiche di Tadashi Hattori, fotografia di Asakazu Nakai.