Buffalo Bill e gli indiani
Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull's History Lesson
Premi Principali
Orso d’oro al Festival di Berlino 1976
Durata
123
Formato
Regista
Buffalo Bill (Paul Newman) è diventato il gestore di un curioso show sul West e i suoi archetipi, tra cui una nuova versione piuttosto sghignazzata della battaglia di Little Big Horn. L'unico recalcitrante è Toro Seduto (Frank Kaquitts), a causa del quale Buffalo Bill vedrà ridimensionate molte delle sue certezze.
Altman arricchisce la sua galleria di film all'insegna dell'apocrifo con una rivisitazione declassata e ridimensionata a misura d'uomo di un mostro sacro della cultura e dell'iconografia americana: Paul Newman dà corpo a un William F. Cody, alias “Buffalo Bill”, che non potrebbe essere più giù dal piedistallo di così, obiettivo raggiunto attraverso una manciata di buone intuizioni e un solido dramma alle spalle, Indians di Arthur Kopit. A non convincere però è l'equilibrio interno della pellicola, che manda in malora le buone premesse e non restituisce quasi nulla della portata, anche teorica, dell'operazione. Molti attribuiscono la diseguale apparenza finale dell'opera, le sue incertezze e i suoi scompensi all'ingerenza del produttore Dino De Laurentiis, ma anche Altman a questo giro sembra più rancoroso che illuminato, più annebbiato che lucido. Per uno come lui, capace di una coralità rigidissima e inappuntabile in grado di tenere insieme qualsiasi forma di molteplicità, un difetto imperdonabile. A dispetto di tutto, Orso d'Oro a Berlino. Un piccolo ruolo anche per il grande scrittore E.L. Doctorow.
Altman arricchisce la sua galleria di film all'insegna dell'apocrifo con una rivisitazione declassata e ridimensionata a misura d'uomo di un mostro sacro della cultura e dell'iconografia americana: Paul Newman dà corpo a un William F. Cody, alias “Buffalo Bill”, che non potrebbe essere più giù dal piedistallo di così, obiettivo raggiunto attraverso una manciata di buone intuizioni e un solido dramma alle spalle, Indians di Arthur Kopit. A non convincere però è l'equilibrio interno della pellicola, che manda in malora le buone premesse e non restituisce quasi nulla della portata, anche teorica, dell'operazione. Molti attribuiscono la diseguale apparenza finale dell'opera, le sue incertezze e i suoi scompensi all'ingerenza del produttore Dino De Laurentiis, ma anche Altman a questo giro sembra più rancoroso che illuminato, più annebbiato che lucido. Per uno come lui, capace di una coralità rigidissima e inappuntabile in grado di tenere insieme qualsiasi forma di molteplicità, un difetto imperdonabile. A dispetto di tutto, Orso d'Oro a Berlino. Un piccolo ruolo anche per il grande scrittore E.L. Doctorow.