La vite avvinghiate l'una all'altra di Vincent van Gogh (Tim Roth), morto suicida in totale solitudine e senza un soldo, e del fratello Théo (Paul Rhys), mercante d'arte che è anche l'unico a credere nel talento di un fratello che però sarà riconosciuto come genio solamente a posteriori.

Lo sguardo di Robert Altman su Van Gogh tradisce una certa impalpabilità ma, nonostante l'evanescenza la faccia qua e là da padrona, quella del regista è una visione del pittore olandese mediamente originale, attaccata all'ordinarietà instabile più che all'evidenziazione stereotipica della follia. La sensazione è che, con una sceneggiatura più dettagliata e convincente, avremmo potuto ritrovarci con esiti perfino superiori, ma i motivi d'interesse anche così non mancano e l'impianto televisivo, che pure è abbastanza evidente, è maneggiato da Altman senza pigrizie e con quel solito, reattivo, spirito analitico che da sempre contraddistingue anche i suoi lavori meno ispirati. La prospettiva altmaniana appare sovversiva e difficilmente incasellabile anche in quest'occasione, nonostante un approccio estetico alquanto normalizzato.
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