Berlino, 1923. Il trapezista statunitense ebreo Abel (David Carradine) viene accusato di aver ucciso varie persone tra cui il fratello Max (Hans Eichler), in realtà suicidatosi dopo aver predetto in una lettera la catastrofe del nazismo.

Lo svedese Ingmar Bergman, dopo il toccante L'immagine allo specchio (1976) e prima dell'intenso Sinfonia d'autunno (1978), ha realizzato una delle sue opere meno riuscite, che affronta gli stilemi registici dell'espressionismo tedesco con l'obiettivo di creare fosca inquietudine in ogni inquadratura (per suggerire lo spettro nazista), ma che finisce per risultare un tentativo involuto e manieristico di intraprendere una nuova via espressiva. Poco personale, sembra essere un prodotto da esportazione privo del consueto sguardo profondo, nonostante la notevole maestria nel creare un'atmosfera da incubo allucinato. Disturbante nel cercare di mettere in immagini il Male assoluto, ma affossato da una sceneggiatura ripiegata su se stessa. Kafkiano ed esistenzialista, rimane uno tra i lungometraggi di Bergman più vicini al genere horror. Superba, in ogni caso, la fotografia di Sven Nykvist. Prodotto da Dino De Laurentiis.
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