Jimmy Gralton (Barry Ward) torna in Irlanda dopo dieci anni trascorsi in America: siamo negli anni Trenta, la guerra civile è da poco finita e impazza la “febbre rossa”. I giovani della sua comunità gli chiedono di riaprire la “hall”, uno spazio comune per il tempo libero, ma preti e conservatori non gradiranno e lo accuseranno di comunismo.

Il Ken Loach più retorico e ammorbante fa capolino in questa piatta pellicola totalmente priva di fascino e annegata in un mare di vecchiume filo-proletario. La vicenda di Gralton, finito poi in esilio, è realmente accaduta: sarà forse per questo che l'insieme ha l'aria di uno sciapo biopic totalmente privo di guizzi cinematografici e narrativi. Appesantito ulteriormente da un cast corale entro il quale non riesce a spiccare nessun personaggio (persino il leader Gralton si confonde nel marasma degli operai) e fiaccato dal peggior manicheismo sinistroide, per cui gli operai sono i buoni e i conservatori, ottusi e benpensanti, i cattivi, il film si trascina tra un dialogo e l'altro, estenuando lo spettatore senza mai comunicare niente di veramente nuovo. Magra consolazione, le verdi campagne irlandesi che fanno da sfondo, ma non bastano a risollevare il tiro. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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