Sorry We Missed You

Sorry We Missed You

Durata

100

Formato

Regista

Ricky (Kris Hitchen), Abby (Debbie Honeywood) e i loro due figli vivono a Newcastle. Mentre Abby per lavoro si prende cura degli anziani, la rivoluzione digitale delle App offre a Ricky la possibilità di mettersi in proprio: i due vendono l’automobile di famiglia, anche se contro il parere di lei, Ricky acquista un nuovo van e diventa un driver freelance. Il futuro che li attende continua, però, a non essere dei più semplici.

Ken Loach torna dietro la macchina da presa, tre anni dopo la Palma d’oro conquistata con Io, Daniel Blake (2016), per un’altra storia fortemente in linea con la sua sensibilità politica e civile. Guidato dalla consueta sceneggiatura del fidato collaboratore Paul Laverty, il cineasta britannico tratteggia un quadro familiare sentito e sofferto, ambientato nel nord dell’Inghilterra e contrassegnato da ingiustizie lavorative e fatiche quotidiane. Sorry We Missed You presenta una prima parte più piatta e schematica nell’accostare i singoli ambienti e le diverse problematiche da sempre tanto care all’autore, ma col passare dei minuti la scrittura e la regia prendono maggior corpo e la narrazione si insinua, in punta di piedi ma con sguardo sofferto e non di rado commosso, nelle pieghe di un nucleo familiare caratterizzato da un’irriducibile e livida fragilità. Le ragioni di Ricky si affiancano così a quelle della moglie Abby, anche se il vero problema, oltre alle beghe di tutti i giorni per sbarcare il lunario, è il rapporto burrascoso del capofamiglia col figlio maschio, che non crede all’utilità della scuola e alla possibilità di trovare un lavoro dopo gli studi. Loach, dal canto suo, riesce a donare al racconto la giusta temperatura emotiva, a scuotere e a far riflettere, tanto sulla frattura generazionale tra padri e figli rispetto a una contemporaneità irrisolta e avara di punti di riferimento, quanto sugli aspetti controversi e scivolosi delle condizioni lavorative dettate dai nuovi giganti del web e dell’economia globale. Alcune soluzioni narrative, oltre che stanche e prevedibili, possono sembrare meccaniche e far storcere il naso, ma nella sua semplicità è un’opera sentita e toccante, accorata e intimamente vicina alle viscere dei suoi personaggi, accarezzati più volte da placide dissolvenze e da un’onestissima idea di empatia e compartecipazione. Di notevole pessimismo il finale. Molto riusciti i personaggi femminili, madre e figlia, mentre quelli maschili sono, giocoforza, più rozzi e monocordi. Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2019.

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