Glasgow. L'ex alcolizzato Joe (Peter Mullan) allena a calcio i ragazzi del suo quartiere e trova l'amore di Sarah (Louise Goodall), ma lo perde quando si mette nei guai per aiutare l'amico Liam (David McKey). 

Glasgow, se non locus amoenus propriamente inteso, si evolve comunque nell'ottica del britannico Ken Loach, cantore agrodolce di amarezze e sottoproletariato, in cornice significativa per una storia d'amore (quella tra il Joe del titolo e l'assistente sociale Sarah), strozzata da dinamiche amare e irrisolvibili. Ed è ovviamente nel personaggio di Joe – cui Peter Mullan, meritatamente premiato a Cannes, offre corpo scomodo ed espressività impareggiabile, trovando il ruolo della carriera – che si condensano i principi e le volontà di tutto il cinema del regista inglese, in un godibile (anche nel dramma) concentrato di umanità, pulsioni e redenzioni che non sempre trovano compimento È, forse, uno dei suoi titoli più calzanti, più corrosivi e spietati, grazie anche alla robusta sceneggiatura firmata da Paul Laverty. Finale memorabile, cast di contorno (su cui svetta David McKey nei panni del tossico Liam) che non si dimentica.

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