Il romanziere Stefano (Gabriele Lavia) riceve in dono una macchina da scrivere e scopre al suo interno un nastro contenente un misterioso messaggio su alcuni terreni dalle oscure caratteristiche chimiche. Incuriosito, decide di indagare: metterà a rischio la propria e vita e quella delle persone a lui care.

Dopo La casa delle finestre che ridono (1976), Pupi Avati torna all'horror, spostandosi verso soluzioni più visionarie e indagando i territori del soprannaturale. A un buon uso delle ambientazioni (un cromatismo che si oppone ai bui di classica memoria, illuminando per contrasto eventi inquietanti e angosciosi) non corrisponde però un adeguato sviluppo: la sceneggiatura (firmata dal regista con il fratello Antonio e Maurizio Costanzo), arranca tra incoerenze e approssimazioni, complicando, anziché chiarire, gli snodi cruciali della vicenda. Ritmo incerto e tensione a tratti carente, anche se è innegabile una certa aura torbida e malsana che non può che affascinare gli appassionati del genere. Finale di discreto impatto emotivo. Cast altalenante, con un Gabriele Lavia non certo al suo meglio. Musiche di Riz Ortolani, fotografia di Franco Delli Colli.
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