Los Angeles. La quotidianità di un distretto di polizia, tra violenza, soprusi, alcolismo e spirito di omertà. Le conseguenze saranno devastanti e provocheranno il suicidio del giovane e represso Slate (Perry King).

Dal romanzo omonimo di Joseph Wambaugh (anche sceneggiatore, non accreditato, con Christopher Knopf), un cupo e violento dramma diretto da Robert Aldrich, che tratteggia le ombre di un'America sconfitta e traumatizzata dopo il conflitto in Vietnam. Il malessere di una società come causa primaria della brutalità connaturata alla natura umana: lo script tratteggia senza sconti l'iter di degenerazione dei personaggi, sorta di figure bidimensionali funzionalmente steretipate, veicolando il clima di alienazione tipico degli anni Settanta. Aldrich gira con mano sapiente, procedendo in continua evoluzione autoriale e realizzando un'opera che si avvicina, per ritmo e atmosfera e con una sorta di anticipazione, al cinema di William Friedkin: ambigua, anomala e non poco disturbante. A non convincere, però, rimane la contaminazione di registri che caratterizza la prima parte, con inserti da commedia che scadono forzatamente nel grottesco. In ogni caso, una testimonianza importante di un'epoca, nonché di un certo modo di fare cinema. Louis Gossett Jr. è Calvin Motts, James Woods è Harold Bloomguard, Burt Young è Scuzzi. Musiche di Frank De Vol, fotografia di Joseph F. Biroc.
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