
13 assassini
Jūsan-nin no shikaku
Durata
126
Formato
Regista
Ricevuto l'ordine di uccidere il crudele e perverso Naritsugu (Gor Inagaki), signore feudale e fratello dello Shogun, il samurai Shinzaemon Shimada (Kji Yakusho) raggruppa attorno a sé undici guerrieri – a cui poi se ne aggiungerà un dodicesimo (Yūsuke Iseya) – per eseguire l'incarico. La sproporzione numerica fra i tredici assassini e l'esercito a guardia di Naritsugu rende l'impresa un'autentica missione suicida in cui dar prova estrema di valore e coraggio.
Remake dell'omonimo lungometraggio del 1963 di Eiichi Kudo, è il felice approdo di Takashi Miike al jidai-geki (l'anno successivo sarà la volta di Hara-Kiri: Death of a Samurai, remake del classico di Masaki Kobayashi), genere con cui si dimostra perfettamente a proprio agio. Nella struttura narrativa si contrappongono due blocchi, il primo di carattere introduttivo e dominato da un rigido controllo formale, dove vengono presentati i personaggi e create le premesse per l'azione, il secondo furente e vorticoso, dove esplode lo scontro e insieme l'estro creativo del regista. In entrambi i casi, senza mai venir meno il rigore della messa in scena. L'impronta è tradizionale ma il taglio moderno, e nonostante il rispetto per i maestri del passato, Miike non si riserva di fare alcune concessioni allo spettacolo più divertito e intemperante (la carica dei bufali infuocati in CGI o l'esplosione con pioggia di sangue), aggiungendo così un contrappunto ironico a una materia tragica e solenne. Qualche lungaggine di troppo intacca solo minimamente la visione. Presentata in concorso a Venezia 67, la versione internazionale è più breve di quindici minuti rispetto a quella giapponese.
Remake dell'omonimo lungometraggio del 1963 di Eiichi Kudo, è il felice approdo di Takashi Miike al jidai-geki (l'anno successivo sarà la volta di Hara-Kiri: Death of a Samurai, remake del classico di Masaki Kobayashi), genere con cui si dimostra perfettamente a proprio agio. Nella struttura narrativa si contrappongono due blocchi, il primo di carattere introduttivo e dominato da un rigido controllo formale, dove vengono presentati i personaggi e create le premesse per l'azione, il secondo furente e vorticoso, dove esplode lo scontro e insieme l'estro creativo del regista. In entrambi i casi, senza mai venir meno il rigore della messa in scena. L'impronta è tradizionale ma il taglio moderno, e nonostante il rispetto per i maestri del passato, Miike non si riserva di fare alcune concessioni allo spettacolo più divertito e intemperante (la carica dei bufali infuocati in CGI o l'esplosione con pioggia di sangue), aggiungendo così un contrappunto ironico a una materia tragica e solenne. Qualche lungaggine di troppo intacca solo minimamente la visione. Presentata in concorso a Venezia 67, la versione internazionale è più breve di quindici minuti rispetto a quella giapponese.